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Per essere grande sii intero: non esagerare.
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Sii tutto in ogni cosa.
Metti quanto sei nel minimo che fai, come la luna in ogni lago tutta risplende perché in alto vive.
Pessoa

Problemi familiari

La famiglia chiede aiuto quando c’è un problema che interessa un figlio, la coppia o entrambi. Le motivazioni alla base della richiesta di aiuto posso riguardare aree diverse:

DISTURBI DELL’INFANZIA

I disturbi d’ansia sono caratterizzati da uno stato di paura, preoccupazione e terrore che compromette GRAVEMENTE le normali capacità di funzione del bambino e che risulta sproporzionato rispetto le reali circostanze del momento. L’ansia nel bambino spesso genera somatizzazioni.

Alcuni stati d’ansia sono un aspetto fisiologico dello sviluppo del bambino:

  • Tra gli 1 e i 3 anni di età può essere presente l’ansia di separazione
  • Le paure del buio, dei mostri, degli insetti è di frequente riscontro all’età di 3-4 anni
  • I bambini timidi inizialmente possono reagire a situazioni nuove con paura o isolamento.
  • La paura di ferirsi o della morte è più diffusa tra i bambini più grandi
  • Paure di non riuscire bene in un compito, paura di sbagliare

Tali difficoltà non devono essere viste come l’evidenza di un disturbo. Tuttavia, se le manifestazioni d’ansia diventano così estreme al punto di causare notevole danno alla funzionalità o grave disagio e/o evitamento, deve essere considerata la presenza di un disturbo d’ansia.

I disturbi di ansia spesso emergono durante l’infanzia e l’adolescenza. Ad un certo punto durante l’infanzia, circa il 10-15% dei bambini sperimenta un disturbo d’ansia.

I disturbi d’ansia nell’infanzia ed adolescenza sono:

  • Agorafobia
  • Disturbo d’ansia generalizzato
  • Disturbo da panico
  • Disturbo d’ansia da separazione
  • Disturbo d’ansia sociale
  • Fobie specifiche

Per una corretta diagnosi bisogna tener conto dell’impatto che l’ansia ha

sull’adattamento e sul comportamento del bambino. L’ansia diventa patologica quando è irragionevole, eccessiva e fonte di grave disagio. Le cause dei disturbi d’ansia non sono riconducibili ad un unico fattore, ma sono il risultato della combinazione di più elementi: predisposizione biologicacause ambientalifattori emotivi e di personalitàfattori educativo- familiari.

A seconda dei casi dopo la diagnosi iniziale segue la pianificazione dell’intervento che prevede incontri congiunti con l’intero nucleo familiare (o la coppia madre-bambino) e incontri individuali più focalizzati sugli aspetti cognitivo-comportamentali alla base del disturbo.

La diagnosi dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) richiede una valutazione specialistica mutidisciplinare.

  • Dislessia– difficoltà di lettura
  • Disgrafia e Disortografia difficoltà di scrittura
  • Discalculia difficoltà nel calcolo
  1. I Disturbi dell’apprendimento sono specificiperché riguardano esclusivamente alcuni processi di apprendimento, cioè automatismi che non si sviluppano durante il percorso scolastico

 

  1. Hanno una matrice evolutiva: il disturbo dell’apprendimento si manifesta in età evolutiva, quando emerge la difficoltà del bambino a sviluppare una capacità che per gli altri invece diventa progressivamente un automatismo, ed è modificabile con interventi specifici. Il bambino con DSA non perde una capacità già acquisita anche solo in parte: i DSA non sono conseguenze di traumi, blocchi educativi, psicologici, relazionali e non nascono dalla poca applicazione allo studio
  2. Hanno origine neurobiologica: quando parliamo di DSA, parliamo di sviluppo atipico o neurodiversità, di caratteristiche individuali e non di patologia. Una persona con DSA ha intelligenza e capacità cognitive adeguate alla sua età: può però apprendere con difficoltà e a ritmo più lento rispetto ai suoi coetanei perché fatica e disperde energie a causa delle sue caratteristiche individuali di apprendimento che la didattica in quel momento non asseconda

L’intervento psicoterapeutico si rivolge sia al bambino (terapia individuale)  che alla coppia genitoriale (intervento familiare). E’ fondamentale la costruzione di una rete collaborativa con gli insegnanti.

I bambini che soffrono di un disturbo specifico dell’apprendimento hanno maggiori difficoltà dei coetanei nell’acquisizione dell’autonomia e spesso sono a disagio nel contesto scolastico  con la tendenza ad evitare certe esercitazioni (la lettura a voce alta, l’esposizione di fronte ai compagni di lavori individuali o di gruppo).

Spesso i comportamenti di evitamento del bambino vengono interpretati come oppositività generando circuiti negativi nelle relazioni familiari e scolastiche.

Il percorso terapeutico è volto a sostenere da un lato il bambino lavorando sul rafforzamento della sicurezza emotiva e autostima e dall’altro la famiglia che lo accompagna nel percorso riabilitativo.

Il Disturbo da deficit d’attenzione e iperattività è caratterizzato da due dimensioni sintomatologiche: la presenza di un comportamento iperattivo e impulsivo e la mancanza di attenzione e concentrazione nell’esecuzione di un compito.

La mancanza di attenzione si manifesta con una scarsa cura dei dettagli, l’assenza di perseveranza nelle attività che richiedono una concentrazione e una costanza, la carenza nelle abilità organizzative.

L’impulsività si evidenzia nella tendenza a passare prematuramente da un compito ad un altro senza completarne nessuno, impossibile quindi per questi bambini organizzare azioni complesse, anzi le attività appaiono disorganizzate e non funzionali con un notevole dispendio di energie. L’iperattività si esprime attraverso il movimento frenetico, con la fatica a rispettare le regole, gli spazi degli altri, risulta difficile anche stare seduti o fermi per un tempo.

Sostanzialmente chi nell’infanzia soffre di ADHD è incapace di modulare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli scopi da perseguire, delle richieste ambientali.

L’impressione che si ha nell’osservare i bambini con questo disturbo è di facile distraibilità e di continua perdita di interesse nello svolgimento delle attività.

L’intervento familiare ha sia obiettivi psicoeducativi che di sostegno e promozione di legami affettivi sicuri.  Spesso infatti in queste famiglie si evidenziano difficoltà nella regolazione e gestione dei conflitti e regolazione emotiva.

Il Disturbo oppositivo provocatorio è uno schema di comportamento ricorrente o persistente dall’impronta negativa, provocatoria o persino ostile diretto contro le figure di autorità (genitori, insegnanti). La prevalenza nei bambini ed adolescenti può raggiungere il 15%.

L’ezioloia del disturbo evidenzia una maggiore frequenza tra i bambini provenienti da famiglie in cui gli adulti instaurano conflitti interpersonali con toni aggressivi o coercitivi.

In genere, i bambini con disturbo oppositivo provocatorio tendono spesso a presentare i seguenti comportamenti:

  • Perdono le staffe facilmente e ripetutamente
  • Discutono con gli adulti
  • Sfidano gli adulti
  • Si rifiutano di rispettare le regole
  • Infastidiscono deliberatamente le persone
  • Incolpano gli altri per i propri errori o per il cattivo comportamento
  • Risultano facilmente infastiditi e irritati
  • Sono dispettosi o vendicativi

Molti bambini mancano anche di abilità sociali.

Alla base di questo disturbo e dei disturbi della condotta ci sono difficoltà nella regolazione emozionale. La rabbia viene agita contro l’altro in maniera impulsiva e reattiva oppure repressa e agita attraverso esplosioni periodiche e apparentemente incomprensibili.

Il contesto terapeutico familiare è l’ambito privilegiato per la “cura” delle relazioni disfunzionali in cui il bambino vive o per l’elaborazione dei traumi emotivi che spesso sono alla base dei comportamenti sopra descritti (lutti, separazioni, trascuratezza, abbandono). E’ importante che nel momento delle crisi, il genitore possa sintonizzarsi emotivamente con il proprio bimbo, che possa dare legittimità a quello che sta provando e che come adulto senta di poter contenere emotivamente il proprio figlio.

La psicoterapia familiare lavora per promuovere la sintonizzazione affettiva, dà voce al sintomo del bambino evidenziandone il messaggio implicito ed il significato relazionale inserito nella storia di quella specifica famiglia.

Insieme si riparano le rotture quotidiane nei legami affettivi tra i genitori e il bambino, favorendo relazioni affettive più sicure e supportive.

I Disturbi del comportamento alimentare (DCA)  sono disagi complessi caratterizzati da un alterato rapporto con il cibo ed il proprio corpo ad esordio nella prima fanciullezza.

L’esordio precoce, nell’infanzia, solleva una serie di quesiti sulla capacità del caregiver (la mammma o chi si prende cura del bambino) di far sentire al piccolo la sicurezza emotiva e l’amore soprattutto durante i passaggi di crescita (lo svezzamento) e di far vivere il piacere legato alla nutrizione.

Alcuni bambini precocemente RIFIUTANO il cibo, altri ricorrono a condotte di eliminazione (vomito).

Intorno alle prime difficoltà, a volte,  si strutturano pattern relazionali rigidi tra i genitori (spesso in ansia) ed il bambino.

In generale i sintomi in età evolutiva hanno spesso un esordio correlato ad alcuni eventi specifici intervenuti nella vita del bambino o della sua famiglia (traslochi, inserimenti al nido, lutti, separazioni). Questo è valido anche (e soprattutto) per le difficoltà nell’area dell’alimentazione.

Il sintomo ha un profondo  significato relazionale (vuole dire qualcosa) e riconduce inevitabilmente alla qualità delle relazioni primarie con le figure di accudimento e alla storia della famiglia.

L’intervento terapeutico familiare lavora con il bambino e la sua famiglia aiutando l’intero nucleo a rileggere le difficoltà attuali come espressione di blocchi emotivi o difficoltà nelle relazioni affettive passate e presenti.

Si lavora sulla gestione dei conflitti, sui ruoli genitoriali, sulla sicurezza emotiva, sulla sintonizzazione affettiva.

L’intervento terapeutico prevede inoltre indicazioni psico-educative  che  aiutano la famiglia a vivere il momento del pasto  come un’occasione di condivisione e scambio affettivo  piacevole per tutti.

La morte fa parte della vita, ma quando un bambino si trova a vivere la perdita di un familiare (genitore, nonno, amico) gli adulti che si prendono cura di lui sono chiamati a sostenerlo nella comprensione di questo evento che può arrivare ad avere un impatto traumatico per il piccolo.

La morte mette in contatto il bambino con l’angoscia di separazione dinanzi alla quale può sentirsi perso e senza più certezze.

La morte di chi è caro (ad esempio un fratellino non più nato), la paura di perdere le presenze amate (i genitori o gli altri nonni), la propria morte, la perdita dell’animale domestico, fanno emergere il terrore per il futuro, la rabbia, la paura, il senso di colpa e d’impotenza.

Il dolore legato alla perdita, laddove non trovi un contesto affettivo adeguato, potrà cristallizzarsi bloccando il sano sviluppo del bambino.

La psicoterapia familiare offre alla famiglia e al bambino uno spazio di ascolto ed elaborazione dei vissuti di angoscia, tristezza, rabbia e disperazione restituendo alla famiglia la possibilità di tornare a vivere  senza blocchi e sintomi in uno dei suoi membri.

DISTURBI DELL’ADOLESCENZA

L’ansia e la paura sono emozioni normali, che tutti provano. Hanno l’importante funzione di segnalare situazioni pericolose o spiacevoli e attivare l’organismo, mediante le modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entra in circolo nel sangue. Entro certi livelli, dunque, l’ansia e la paura sono necessarie e funzionali.

I disturbi d’ansia in adolescenza, così come nell’infanzia, si caratterizzano per paura e persistente o eccessiva rispetto alla gravità reale della situazione immaginata o vissuta.

Tipiche risposte comportamentali all’ansia sono la fuga e l’evitamento delle situazioni temute; mentre, sul piano cognitivo, vengono riportati pensieri negativi, irrealistici e catastrofici, paura di perdere il controllo ed impazzire, agitazione, ridotta capacità di concentrazione, di risoluzione dei problemi, di pianificazione e di astrazione.

I disturbi d’ansia si manifestano il più delle volte anche sottoforma di irritabilità, aggressività e lamentele somatiche.

  • Disturbo d’ansia di separarzione (374% della popolazione infantile)
  • Fobie (6/7 %)
  • Disturbo da panico
  • Agorafobia
  • Ansia generalizzata

In adolescenza la diagnosi multifattoriale deve tener conto di fattori individuali e relazionali del contesto familiare e sociale.

Tra i 13 anni ed i 16 anni nel 5% della popolazione italiana (prevalenza femmine) si registra la presenza di disturbi dell’alimentazione.

  • Anoressia nervosa
  • Bulimia nervosa
  • Disturbo da binge-eating

All’insorgere dei Disturbi dell’alimentazione concorrono più fattori:

  • Fattori biologici (ovvero una predisposizione genetica);
  • Fattori psicologici: tratti di personalità quali ossessività, perfezionismo, umore disforico, rigidità cognitiva.
  • Fattori familiari (dinamiche relazionali che ostacolano il processo di separazione-individuazione dei figli)
  • Fattori socio-culturali (idealizzazione di un modello femminile di magrezza ed efficienza)

In trattamento per i disturbi del comportamento alimentare   deve essere integrato, ovvero deve coinvolgere più figure professionali (psichiatri, psicologi, nutrizionisti, specialisti in medicina interna) e deve prevedere un intervento psicoterapico, sia a livello individuale che familiare; un monitoraggio nutrizionale e una terapia farmacologica, nella combinazione più appropriata al caso specifico.

La caratteristica comune di questi disturbi è la presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e nel modo di pensare, che incidono significativamente sulle capacità di funzionamento dell’individuo. Le differenze consistono essenzialmente nella durata e nella distribuzione nel corso del tempo della sintomatologia.

La depressione è un disturbo dell’umore molto diffuso in adolescenza.

Si osservano:

  • Chiusura verso le relazioni affettive ed amicali
  • Tristezza, senso di vuoto, disperazione quasi tutti i giorni, quasi tutto il giorno (sentirsi “spenti” scoraggiati, “giù di corda”);
  • Marcata riduzione di interesse o piacereper attività prima ritenute piacevoli (anche dell’interesse e del piacere sessuale);
  • Significativa perdita o aumento di peso, non dovuta ad una dieta;
  • Sonno disturbato(difficoltà a dormire o necessità di dormire troppo);
  • Mancanza di energie, faticabilità;
  • Sentimenti di autosvalutazioneo di colpa eccessivi o inappropriati (valutazioni negative irrealistiche del proprio valore oppure preoccupazioni di colpa o ruminazioni su piccoli errori passati; per cui spesso interpretano eventi quotidiani neutri come prova di difetti personali e provano un esagerato senso di responsabilità per eventi sfavorevoli);
  • Ridotta capacità di concentrazione e di decisione(possono apparire facilmente distraibili o lamentare problemi di memoria);
  • eventuale ideazione suicidaria.

La terapia familiare rappresenta uno dei contesti terapeutici  nei quali lavorare per aiutare l’adolescente ad esprimere il suo disagio e a riorganizzare le sue relazioni affettive primarie. Spesso anche per questo tipo di disturbi l’intervento deve essere multifattoriale.

 

La sindrome di rischio Psicotico è una condizione caratterizzata dalla presenza di sintomi psicotici (es. deliri, allucinazioni, comportamento disorganizzato) di breve durata e/o di bassa intensità, associati ad  una marcata compromissione del rapporto con la realtà e, dunque, del livello di funzionamento sociale (ritiro sociale) e scolastico/lavorativo.

In adolescenza questo stato transitorio è presente nell’8% della popolazione. Spesso associato all’assunzione di sostanze.

Si osservano ridotta tolleranza allo stress, pensiero confuso, grandiosità, sospettosità, anomalie percettive.

Per quanto riguarda il comportamento, si può osservare una marcata diminuzione della reattività all’ambiente ed una diminuzione dell’espressione emotiva (ridotta espressività facciale e gestualità), ridotto contatto visivo e intonazione dell’eloquio; diminuzione delle attività, della capacità di provare piacere per stimoli positivi; mancanza di interesse per le interazioni sociali.

I Disturbi della condotta comprendono condizioni che comportano problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti. Si manifestano attraverso condotte che violano i diritti altrui e/o mettono l’individuo in contrasto significativo con le norme sociali e l’autorità (genitori, insegnanti).

Per definire il disturbo in termini clinici è necessario che i comportamenti disfunzionali risultino pervasivi e causino una compromissione del funzionamento globale (ambiente familiare, scolastico, sociale) dell’adolescente.

Si osservano difficoltà di adattamento, fino alla comparsa di comportamenti a rischio  di gravità crescente: dall’abbandono scolastico, all’uso di sostanze, fino a condotte antisociali. Questi disturbi hanno un incidenza del 13% nella popolazione maschile e del 9% tra le femmine.

  • Disturbo oppositivo-provocatorio
  • Disturbo della condotta

L’intervento relazionale accoglie l’adolescente, la sua devianza e la famiglia offrendo un contesto terapeutico in cui la sicurezza dei legami viene potenziata (fattore protettivo) le regole familiari rinegoziate e la riflessività di ciascuno promossa.

La prospettiva che “cura i legami” legge la devianza dell’adolescente come espressione di vuoti emotivi che generano vissuti di angoscia profonda e smarrimento interiore nel giovane, la devianza come grido disperato una richiesta di sicurezza affettiva e vicinanza ai caregivers spesso assenti o trascuranti.

I disturbi da abuso di sostanze (alcool, caffeina, cannabis, allucinogeni, sedativi) e i disturbi da dipendenze patologiche (gioco d’azzardo, videogiochi)  hanno un’incidenza molto elevata in adolescenza.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha, infatti, inserito il “gaming disorder”, ossia l’uso compulsivo dei videogiochi, nella bozza dell’undicesima edizione della International Classification of Diseases (ICD), classificazione internazionale delle patologie, definendolo come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita“.

Il disagio si manifesta quando si verifica un abuso dei giochi elettronici, quando un loro utilizzo continuativo e sistematico, occupa gran parte della giornata dei ragazzi e finisce col sostituirsi ad ogni attività quotidiana.

In tali situazioni, bambini e ragazzi tendono a isolarsi dalle relazioni, a chiudersi in se stessi e in quel mondo virtuale che può diventare, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità, una modalità per evadere dalla quotidianità, sperimentare sensazioni nuove ed evitare il senso di incapacità o inutilità spesso vissuto in altri contesti e in altre relazioni quotidiane.
Possono presentarsi apatica, irrequietezza e irritabilità, problemi alimentari, di igiene personale, del sonno, conflitti con i genitori.

A livelli gravi l’adolescente può arrivare a trascurare la scuola, lo sport e le relazioni e presentare sintomi fisici, come mal di testa, mal di schiena, disturbi della vista.